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recto e verso di una "carte de visite"
risalente agli anni 10 del 1900
(gelatina ai sali d'argento incollata su cartoncino)
Per la prima volta nella storia
dell'umanità abbiamo testimonianze oggettive(?) dei tempi passati.
Questa giovane signora è stata davvero lì davanti alla fotocamera in quell'istante.
Possiamo conoscere il suo volto, il suo abbigliamento, non attraverso
l'interpretazione
di un pittore, ma grazie ad una tecnologia che rende automatica e, quindi per
definizione, oggettiva
la riproduzione della visione.
Nelle nostre soffitte o a casa della nonna milioni di queste immagini
dimenticate giacciono aspettando di
essere valorizzate, forse anche solo ritrovate.
Il valore culturale che esse hanno è inestimabile per noi e per le prossime
generazioni.
Le fotografie hanno, rispetto ad altri manufatti, vita molto più breve (quelle
a colori sono anche più delicate!).
I materiali sono di origine organica (carta, gelatina, albume d'uovo
ecc.),
soggetti a deterioramento, accelerato da calore e umidità
(vedi gli studi dell'IPI
- Image Permanence Institute).
Vanno salvaguardate, conservandole in ambienti asciutti, a temperatura più o
meno costante
(NON NELLE SOFFITTE NE' IN CANTINA!).
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Ma la fotografia è ancora viva?

Le immagini ci
sommergono. Annaspiamo coperti da miliardi di immagini senza corpo
scattate con i cellulari (chissà poi quanto tempo vivranno prima di venir
cancellate per fare spazio ad altre).
In Internet, attraverso i motori di ricerca, è possibile trovare
fotografie di questo e di quello, su questo e su quello. Esistono siti
dove è possibile pubblicare i propri scatti, pare senza censura.
Eppure non sono sicuro che si tratti di fotografia, o meglio: la
fotografia, così come nasce poco prima della metà dell'800 e si sviluppa
fino a quando non arriva il digitale, mi sembra che non esista più.
Nel 1760 (ben prima quindi che gli
esperimenti di Niepce e Daguerre vedano la luce nella prima metà dell'800)
viene pubblicato un racconto, che oggi chiameremmo di fantascienza,
intitolato Giphantie. Il racconto descrive una pratica fantastica che
consiste nello spalmare una vernice portentosa sulla tela che, esposta
davanti alla realtà, ne registra ogni minimo particolare creando
un'immagine miracolosamente fedele ad essa.
È il sogno di rappresentare la realtà in modo automatico, "verace"; e
questa pretesa di veracità decreta la fortuna della fotografia, già subito
dopo la sua nascita: ciò che si vede nell'immagine fotografica è il segno,
la traccia lasciata dalla realtà.
La svolta
arriva con il digitale. La fotografia analogica produce, come dicevo,
tracce, la fotografia digitale produce codice. Sappiamo bene come con
opportuni programmi questo codice può essere modificato, generando
immagini verosimili che non hanno più alcun rapporto con la realtà.
Scrive Roberta Valtorta:1
"L’industria ha ceduto il passo all’informatica, con un salto tecnologico
l’immagine è balzata in avanti e il mondo delle cose meccaniche ha
consegnato la fotografia al mondo impalpabile del digitale. Il radicale
cambiamento economico ha impresso alla società un ritmo del tutto nuovo,
nel quale il senso della storia si perde e l’idea di memoria muta
radicalmente.
La grande comunicazione assume un valore centrale e avvolge completamente
le arti. Queste, di rimando, modificano il loro statuto, che si fa tanto
più elastico quanto più massicciamente il prodotto artistico è presente in
forme diverse nei molti mercati e ambienti oggi disponibili: forse l’arte
oggi è soprattutto un complesso insieme di relazioni, una onnipresente
forma di arredo/moda/decorazione tecnologica, che serve a tenere compagnia
all’uomo contemporaneo, fornendogli costantemente figure, colori, suoni,
parole, fantasie, illusioni. Nella postmodernità ogni esperienza creativa
è un unicum, si richiama al passato solo per citarlo, le regole sono
costantemente in corso di creazione, arte e realtà non artistica si
incontrano sullo stesso piano, i significati sono intercambiabili.
Fra le arti, oggi impegnate in un processo di cambiamento profondo, la
fotografia sembra occupare una posizione centrale:
ha superato le prove culturali che ci si aspetta che un’arte superi ed è
pienamente, seppur tardivamente, accettata. Quanto sia in realtà capita
nella sua complessità non è chiaro, poiché oggi la fotografia è
principalmente accettata come immagine (e oggi tutto è immagine)
tecnologica (come ogni altra cosa oggi) aperta a molti immaginari (sia la
produzione che la fruizione delle immagini fotografiche lasciano spazio a
ogni tipo di investimento emotivo). E’ frammentata, variabile, diversa dal
cinema e dal video, diversa dall’immagine del tutto virtuale e immateriale
che va affermandosi e dalla quale presumiamo sarà abitato il nostro
futuro.
Non sappiamo, oggi, se la fotografia sia viva o morta, se sia veramente
contemporanea come il mercato sembra dichiarare, o se appartenga al
passato. Non ci è ancora chiaro in termini teorici, se l’immagine digitale
sia l’erede naturale della fotografia chimico-fisica, oppure sia
un’immagine di natura radicalmente diversa. Possiamo solo studiare il
problema, ricavandone opinioni diverse. Quello di cui da tempo sono
convinta è che la recente fortuna della fotografia si deve, in un certo
senso, alla sua morte provocata dal digitale (simile alla morte che la
fotografia portò, al suo nascere, alla miniatura e all’incisione e per
certi aspetti alla pittura).
Nessuna arte è mai del tutto morta, sappiamo, ma certamente ogni arte ha,
nella storia, momenti nei quali è giovane e immatura per collocarsi in
modo significativo nella cultura; momenti nei quali sa farsi portatrice di
novità per l’intera società; momenti, poi, nei quali la sua carica
diminuisce rispetto ai ritmi della cultura e della società; e infine
momenti nei quali viene “superata” da un’altra, o da altre arti."
La
fotografia non è e, soprattutto, non è stata solo arte. Tre o quattro
generazioni di artigiani si sono dedicate al mestiere di fotografo,
lasciandoci milioni di ritratti, di grandissimo valore documentario. Per
la prima volta nella storia dell'umanità abbiamo potuto vedere le immagini
dei giovani volti dei nostri nonni.
Un interessante articolo di
Michele Smargiassi,2 apparso su la
Repubblica del 28 Febbraio 2006, ci racconta come l'ultima generazione di
questi artigiani è stata cancellata dall'avvento del digitale.
Non so se la fotografia è ancora
viva, certo i fotografi non stanno tanto bene.
Dario Palomba
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1 - Roberta Valtorta è Direttore scientifico del
Museo di Fotografia contemporanea di Villa Ghirlanda. Il brano è tratto
dal suo intervento alla giornata di studio su “La cultura fotografica in
Italia oggi” a cura dell' AFT, Prato, 17/2/06.
^
2 - Michele Smargiassi, giornalista, collaboratore de
"la Repubblica". L'articolo citato è disponibile a pag. 6 e 7 del file PDF
raggiungibile a questo indirizzo:
http://download.repubblica.it/pdf/domenica/2006/26022006.pdf
^
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